IL RITO

Nato in tempi remoti, in un mondo arcaico, in armonia con la natura, espressione di riti ancestrali rudi, misteriosi e magici “il Diavolo” antica maschera carnevalesca, si rivela, l’ultimo giorno di Carnevale a Tufara, tra folli corse e acrobazie temerarie.

Tramandato nei secoli, espressione tipica della comunità, richiama cultori da tutto il mondo.

La figura caprina, il tridente fra le mani, i movimenti accattivanti, suscitano timore e superstizione; tutti vorrebbero evitarlo, ma ognuno in fondo al cuore spera di essere circondato dal suo seguito urlante.

Da dove sbuca quest’essere insolito, misterioso? Dagli inferi, da un’antica casa abbandonata dove occulti riti lo riportano in vita per correre tra le vie del paese? Chi è? Quale mistero cela dietro la nera maschera? È forse figlio della dimenticata primavera, quando a gemma germoglio e fiore si tributava sangue perché crescessero più forti e abbandonati, o quando l’uomo per scrollarsi di dosso l’agghiaccio invernale, danzava e intuiva la natura al risveglio? O forse è l’inquisitore, l’ammonitore delle coscienze ribelli, dove il giogo è pesante e la libertà impellente?

“Il Diavolo” forse è tutto questo o forse tutt’altro, ma a Tufara, lo si attende con ansia, per liberarsi con lui di un folleggiare breve e cruento, per dimenticare in un giorno quanto dura è la fatica di vivere.

La maschera, è tra quelle che conservano le antiche caratteristiche da cui traggono origine, anche se il suo significato primitivo si è in parte perduto, essa rappresentava, un tempo, la passione e la morte di Dioniso, dio della vegetazione, le cui feste venivano celebrate in quasi tutte le realtà agresti. Infatti Dioniso, cosi come la vegetazione di cui era dio, moriva e si rinnovava perpetuamente.

il diavolo

maschera zoomorfa, rappresentante del dio in terra, era vestito con sette pelli di capro, animale sotto le cui sembianze amava manifestarsi il dio.

Si sa, però, che il sacro spesso non va d’accordo con il profano: cosi, con l’avvento del cristianesimo, il rito pagano fu “declassato” a mera maschera carnevalesca, con l’aggiunta di figure ad essa spesso estranee.
Ed è sotto questa forma che noi lo conosciamo oggi.

i folletti

che trattengono il Diavolo in catene e lo trascinano per le vie del paese: il Diavolo salta, si rotola, cade a terra e cerca di “sedurre” chi incontra per strada, perché entri a far parte dei suoi adepti.

 

la morte

Il Diavolo è preceduto dalla MORTE, impersonata da figure vestite di bianco con il viso impasticciato di farina e che rappresentano la purificazione. Il simbolismo è chiaro: il seme muore per dar vita alla pianta, si purifica nel terreno per poi rinascere, a primavera, trasformandosi in raccolto. La morte è armata di falce, il cui roteare evoca i gesti metodici, ripetitivi e decisi dei contadini al momento del raccolto: il canto di questi ultimi è sostituito da urla, grida e salti delle maschere.

 

Oggi la figura del DIAVOLO ha assunto un significato che lo differenzia profondamente da altre figure simili: al DIAVOLO-DIONISO si sostituisce il CAPRO-ESPIATORIO, il PUPAZZO-SIMULACRO, identificato con il CARNEVALE.

Esso viene processato da una scanzonata GIURIA e nonostante la difesa tragicomica della MADRE e del PADRE, viene condannato e scaraventato dall’alto della rupe tufacea, simbolo del paese.

Muore il pupazzo ma non la speranza, poiché la MADRE – PARCA, con in mano il filo del destino, conocchia e fuso, ha già pronto un altro neonato – simulacro, che darà continuità al rito. Un’ultima figura, nonché meno importante, è quella de “U’ PISCIATUR” il quale rappresenta i vizi, l’allegria e il trionfo del caos del carnevale che finiranno con la morte dello stesso.

L’indomani sarà QUARESIMA e frivolezze, bagordi e vizi saranno già un ricordo in fondo alla rupe.